Recensioni
Intervista per Nootempo
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Gianpaolo Chiriacò
Jazzit bimestrale
di musica jazz
anno 10 n 47
Luglio/Agosto 2008
Luigi Onori
Il Manifesto
Trombettista trentacinquenne, Pittau è musicista da seguire per l’originalità e la vastità della poesia, abbinate a una classe strumentale notevole e a un linguaggio graffiante e fuori schema. Partito da un paese della Sardegna (Guasila, nella sottoregione di Trexenta) vi è tornato dopo una lunga e seminale esperienza bolognese. A Guasila nell’arco di diversi anni ha creato un rapporto di collaborazione con quelli che chiama “artisti locali ed emigrati dalle idee affini (musicisti, poeti, scrittori)”; con essi ha formato una sorta di congregazione. Fa parte dell’Enzo Favata Tentet con cui ha registrato The New Made in Sardinia e il progetto Voyage en Sardaigne. La congregazione convocata per V IV MMV Death Jazz vede Gianni Gebbia (sax alto e rumore bianco), Paolo Angeli (chitarra sarda preparata), Vincenzo Vasi (basso elettrico, theremin e voce) e Francesco Cusa (batteria e percussioni), con evidenti tracce delle esperieze felsinee. 26 frammenti – spesso creati collettivamente – costituiscono un affresco a tinte forti, dai tratti espressionistici. Una musica libera e provocatoria, sperimentale e libertaria (Fox Trottu, The Man in Lollove, B Folk) in cui Pittau sembra ereditare lo sperimentalismo di Don Cherry e Lester Bowie.
Immenso.
Daniele Follero
Sentireascoltare
A distanza di poco più di due anni dalla prima uscita (Psicopatologia Del Serial Killer degli Skrunch di Francesco Cusa) Improvvisatore Involontario ha oltrepassato ampiamente lo status di “ giovane promessa” tra le label italiane, meritandosi già ampiamente il ruolo di realtà di alto livello nel panorama jazzistico contemporaneo, e non solo nostrano. Il progressivo miglioramento delle proposte messe sul tavolo dall’etichetta potrà essere anche un caso fortunato e fortuito, limitato all’entusiasmo della prima decina di uscite, ma ci piace pensare che non sia così e abbiamo elementi sufficienti per sostenere il contrario. Il progetto di Cusa e soci è ambizioso e coerente, nella sua volontà di mettere assieme la crème del jazz indipendente, trasformando la label in una casa comune e libera nella quale ciascuno, con il suo bagaglio d’esperienza, prova a suo modo a mettere il piede oltre la ormai secolare tradizione jazzistica, senza mai uscirne completamente. Se già i lavori precedenti lasciavano presagire questo “ superamento di sé stessi”, il tentativo di creare una nuova scuola italiana dell’improvvisazione, con il lavoro della “ congregazione” del trombettista Riccardo Pittau, può dirsi più che soddisfacentemente realizzato. V IV MMV Death Jazz, registrazione di una performance improvvisata del 5 aprile 2005, dietro una maschera simpaticamente ammiccante all’esoterismo, nasconde ciò che probabilmente è il meglio (o se non proprio tutto il meglio, siamo lì, in questo caso gli esclusivismi ci interessano poco) del giovane jazz sperimentale nostrano. Basterebbe, come garanzia, il solo nome di Paolo Angeli, sardo, anche lui, come Cusa, trapiantato a Bologna per frequentare il DAMS, la cui chitarra sarda “ preparata” rappresenta il simbolo di un nuovo modo di intendere la musica che fa i conti con le tradizioni del passato dopo aver digerito gli insegnamenti delle avanguardie (che sia lui il vero post-moderno?). Ma il cast d’eccezione va oltre e arriva a comprendere anche il sax braxtoniano di Gianni Gebbia, la batteria dell’onnipresente Cusa e il basso elettrico e il theremin di Vincenzo Vasi. Se i musicisti, presi singolarmente, rappresentano già di per sé un notevole peso specifico, il quintetto riesce perfettamente ad amalgamare queste forti individualità. Come dire che la somma è più alta dell’insieme degli addendi. Più di un’ora di musica che, pur essendo facilmente classificabile come jazz, esplora, fino alla saturazione, tutte le possibilità e combinazioni timbriche che la varietà degli strumenti impiegati permette. L’impronta degli Electric Five di Rava è solo un indizio, anche se importante, del sound risultante dalle capacità d’intesa dei cinque musicisti, che senza troppe preoccupazioni arrivano perfino a sconfinare, un po’ per gioco, un po’ per voglia di sperimentare, nel campo del metal estremo (Deep Hate), subito prima di concludere l’interessante esperienza con un boogie acidissimo e distorto a metà tra Captain Beefheart e i Canned Heat (B Folk). Tutto il disco, dalla prima all’ultima nota, è un fiume in piena, una valanga di sorprese che si insinuano tra i trasformismi chitarristici di Angeli e Vasi (che in alcuni brani mette in mostra anche la sua voce alla Mike Patton), i rumorismi di Cusa e Gebbia e la poesia della tromba di Pittau, che, nonostante tutto, riesce ancora a suonare incredibilmente cool.
Olindo Fortino
Blow Up
Finalmente Pittau sdogana il primo album a suo nome, entrando finalmente tra i musicisti cult della creativa ed impro nazionale. Finalmente abbiamo un feticcio da adorare, un disco a cui aggrapparci. Per presentarsi come si deve il talentuoso trombettista sardo schiera una congrega d’assi costituita dagli Switters al completo (Gianni Gebbia, Francesco Cusa e Vincenzo Vasi) e dal mitico Paolo Angeli, cosicchè “V IV MMV Death Jazz” si rivela un euforico concentrato di umori-rumori che passano dall’ironico lemma improvvisativo di scuola olandese alla concettosa irriverenza di marca downtown, segnati all’improvviso da esercizi strumentali e vocali mostruosamente grotteschi, a cavallo tra Sun City Girls, Mike Patton e il Tom Waits più bislacco (vedi Be Folk e Deep Hate). La tromba di Pittau esprime una mobile curiosità, modula tra l’acuto e il vellutato, richiamando nel timbro tanto Don Cherry quanto Lester Bowie e Dave Douglas. Il contralto di Gebbia sporca e pulisce il groove, mentre il basso elettrico di Vasi è sponda perfetta alla flessibile geometria ritmica di Cusa. Libero di turno è la chitarra sarda preparata di Angeli, che incrosta ogni traccia di squisiti accenti acustici, sghenbe dissonanze ed eccentrici armonici fricativi. In gran parte le idee sono rappresentate da bozzetti di un minuto e mezzo ma non mancano temi più estesi e articolati, la cui paternità di scrittura Pittau condivide a turno con tutti o con alcuni dei suoi partner. Una prova maiuscola da parte del trombettista e del suo quintetto per un album che è puro genio italico da esportazione.
Marco Carcasi
Kathodic
Quel che si dice un gran bel lavoro. Eclettico e trasversale. Muove impetuoso da territori jazz, e lungo il cammino, intercetta ed ingloba forme fra le più disparate. Febbrilmente, sfiora territori davisiani, andature In Opposition (Ferdinand Richard? ), sarabande d’insieme Liberation Orchestra, sbuffi blues, accenni dub e ricerca caracollante. Il tutto pestando forte e deciso. A questo, va aggiunto l’insignificante particolare che, “V I V M M V Death Jazz”, è opera (trascinante) di una fruibilità che sconcerta. Il trombettista Riccardo Pittau e la sua Congregation, non paiono proprio es sere all’esordio discografico. Difatti, scorrendo i nomi dei componenti del gruppo, ritroviamo gli Switters(Vincenzo Vasi, Francesco Cusa e Gianni Gebbia), più la chitarra sarda preparata di Paolo Angeli; che ve ne pare? Il tutto produce, uno dei lavori più intriganti dell’intera annata.Di fascino nervoso, notturno e metropolitano (ma per nulla sciatto e raffazzonato…), “V IV MMV Death Jazz”, spiazza e sorprende, generando una pratica reiterata di ascolto che di questi tempi è da accogliere come una manna. Se ne accorgeranno presumibilmente in pochi, e magari quei pochi, questo cd lo dimenticheranno in fretta, sopraffatti dall’imperante ricerca dell’ultimo trend possibile. Grande/Bella/Cazzata.La classe della Congregation non si discute, Vasi al basso, voce e theremin, Cusa alla batteria e alle percussioni, Gebbia al sax, Angeli alla già citata chitarra sarda preparata, regalano tutta una serie di colpi dati di taglio, delineando un intrico di spigoli, penombre e danze accennate. Brani strepitosi in ordine sparso: il trittico iniziale, Agonias, Nieuport II e Attittidu. Un club chiuso da poco, la notte che spalanca le braccia ad un’altra notte, fraseggi fiatistici spiraliformi ad indicare la direzione. Bosambo, tribale e ghignante; una iena in pausa alimentare. Attenzione Alle Eliche! Pantano ritualistico screziato di fiati borbottanti. B Folk, marcetta irresistibile, fra Waits e Primus, fulminante! Fox Trottu, sorniona e sorridente, la Liberation Orchestra da queste parti qualcos a c’entra. Joie De Vivre, atonalità assortite ed un passo interiore dub stupefatto e stupefacente (uno dei vertici del cd…). La dolenza combattiva di Autumn In Siberia, e ancora: l’incedere della sezione ritmica a pupille rivoltate di Arcano XIII, di nuovo una parvenza di dub a covare sotto le ceneri. Ventisei bozzetti, veloci e compatti, un’epifania quasi. Insieme con i cosci di Prosciutto di Parma e le forme di Parmigiano Reggiano, dovremmo esportare, proteggendolo con leggi adeguate, anche “V IV MMV Death Jazz” ed il suo talentuoso autore. Capiterà mai? Come qualcun altro strepitava un tempo: Tifiamo rivolta… Bellissimo!
Enrico Bettinello
All About Jazz
Un altro disco imprescindibile di questa annata di Improvvisatore Involontario è certamente quello della Congregation del trombettista sardo Riccardo Pittau, alla testa di un azzeccatissimo Grande combo completato da Vincenzo Vasi al basso, Gianni Gebbia al sax, dal solito Cusa dietro i tamburi e [scelta azzeccatissima] la chitarra sarda preparata di Paolo Angeli. Difficile classificare la musica di questo lavoro, quasi a confermare l’allure fantasmatica che accompagna la registrazione, sembra che a tentare una definizione le parole sfuggano, la mente si ottunda e anche ogni ipotesi di ancoraggio su terre sicure si rivela una chimera: meglio di certo lasciarsi ammaliare, come dalle sirene di Ulisse, e obnubilare dal flusso sonoro, magmatico oppure rarefatto, ritmicamente molto vario. Ventisei brevi momenti che si intrecciano con inevitabile incanto, sorretti da piccoli straniamenti timbrici, con un Pittau splendido nel disegnare linee inquiete [ma anche i suoi sodali non sono da meno] e una fondamentale mancanza di riconoscibilità tematica che se a un primo ascolto può spiazzare, alla fine diventa un pregio, certi che l’ascolto successivo sarà una nuova avventura. Bello!
Giorgio Grimaldi
Audiodrome
Frutto della creatività di cinque musicisti qui autori di una performance eccellente, V IV MMV Death Jazz dell’ensemble Riccardo Pittau Congregation è un disco decisamente notevole. Sostenuto da una sezione ritmica capace e fantasiosa (gli ottimi Francesco Cusa alla batteria e percussioni e Vincenzo Vasi al basso elettrico), ricco di intrecci interessantissimi e spesso sublimi fra Paolo Angeli alla chitarra e Vincenzo Vasi al basso elettrico, il tutto sempre sospinto da Riccardo Pittau alla tromba e Gianni Gebbia al sax alto, questo lavoro si presenta come una serie di forme che continuamente sorgono le une dalle altre, senza alcun elemento che rimanga statico a lungo. Ciò è frutto di un “paziente” lavoro d’improvvisazione, passata poi attraverso il filtro dell’organizzazione, cioè consapevolezza e controllo del materiale musicale. Il disco scorre, spesso con idee interessanti e proposte con molto estro. La voglia di sperimentare è sempre al servizio degli spunti da sviluppare, e mai fine a se stessa, senza contenuto. Così V IV MMV Death Jazz è un ottimo esempio di jazz libero nei moduli espressivi, ma in rapporto ad un contenuto determinato, senza il quale la libertà diverrebbe o arbitrio o standardizzazione, e cioè cesserebbe di essere tale.
Annamaria Vinci
Sonos&Contos
Vincenzo Giorgio
Musica Jazz
…ben più accattivante risulta il disco di Pittau, caratterizzato da un affascinante contrasto tra il suono lirico del trombettista sardo e l’obliquo contesto, aperto a molte influenze (elettronica, rock, persino certo post punk), orchestrato da Gianni Gebbia (sax contralto), Paolo Angeli (chitarra sarda preparata), Vincenzo Vasi (basso elettrico) e Francesco Cusa (batteria).
Mario Gamba
Il Manifesto
Quel «rumoroso» jazz è sempre seducente
Un personaggio del Talento di Mr. Ripley trova che il jazz sia an insolent noise. Un rumore fastidioso. Lo dice con disprezzo. Ma il festival di Pisa che si intitola, appunto, An insolent noise prende questa definizione per buona in un senso tutto diverso: il jazz è qualcosa che dà fastidio al potere, qualcosa di sovversivo, qualcosa di destabilizzante. E il suo direttore artistico Francesco Martinelli convoca nella città toscana musicisti dell’area chicagoana dell’Aacm e musicisti italiani di punta per verificare se oggi il jazz mantiene il carattere originario di musica che scompagina gli equilibri culturali stabiliti. Ed ecco l’esito del test. Tutto il jazz no, certo jazz sì.Seduce, affascina, inquieta nel modo più forte con un trio, anzi una «congregazione», di teneri-tragici ribelli: Riccardo Pittau, Paolo Angeli, Francesco Cusa (29 ottobre)… Pittau è un trombettista che rimugina il blues, i sapori di terra e di dramma ancestrale che ci trova dentro. E ci mette un tocco di ulteriore novità, forse mediterranea, ma folk o «nativa» neanche un po’. Ha una vena lirica che nasce da Booker Little, sfiora Davis, si allaccia al free e a certi rumorismi, certi gorgoglii «fuori registro», suggeriti dal free. Angeli con la sua chitarra «preparata» (ormai famosa in tutto il mondo) guizza informale con modalità da violoncello elettrico, pizzica le corde come un contrabbassista sapiente e svitato nello stesso tempo, immette flussi di elettronica calda e irregolare nel gioco a tre. Cusa sembra quello che ama di più il «vero jazz», invece lo reimpasta, lo destruttura mentre si getta in sequenze swing, perfette e paradossali, sulle orme di Gene Krupa.
Vincenzo Roggero
All About Jazz
Con il trio formato da Riccardo Pittau alla tromba, Paolo Angeli alla chitarra sarda preparata, Francesco Cusa alla batteria, l’impatto sonoro e, se vogliamo anche l’approccio linguistico, cambiano radicalmente. Il progetto Congregation di Pittau, recentemente edito da Improvvisatore Involontario, con un cd intitolato Death Jazz, è talmente solido, inventivo ed elastico che funziona alla grande con qualsiasi tipo di formazione, da quella allargata presente sul disco, al quartetto fino al trio in questione. Se è vero che la libera improvvisazione è alla base comunque della proposta musicale del trombettista sardo è altrettanto vero che l’onda sonora del gruppo, a volte davvero devastante, e inesorabilmente ancorata a snodi melodici e a cellule ritmiche che danno respiro alla musica e ne ampliano gli orizzonti di fruibilità mantenendone la giusta dose di rigore formale. La chitarra di angeli, che funge da piccola orchestra, è un prodigio di creatività ben sintetizzato da un mix originale di legno, corde e diavolerie elettroniche di ogni genere. La tromba di Pittau possiede un lirismo unico nel suo genere, veleggiando ora in mondi futuribili cari a Sun Ra ora in grotteschi girotondi felliniani o, ancora, trasformandosi in inquietante colonna sonora di un immaginario film. La batteria di Cusa infine si muove come un essere proteiforme che assembla in modi sempre differenti le caratteristiche timbriche e ritmiche dello strumento. Grande energia, flussi sonori che ti investono come una marea montante e momenti di grande tensione emotiva hanno caratterizzato un set convincente.
Anna Brotzu
Il Sardegna
12 Aprile 2008
Fabio Ciminiera
Jazzconvention
…dalle dissolute ed esplosive combinazioni sonore di Riccardo Pittau Congregation, con Paolo Angeli e Francesco Cusa,… Atteggiamento totalmente diverso nella successiva esibizione di Riccardo Pittau, Francesco Cusa e Paolo Angeli, in una collettiva, arrembante, elettrizzante ed elastica esplosione di suoni acustici, accentati, di tanto in tanto, dagli attrezzi meccanici predisposti da Angeli sulla sua chitarra e dal disarmante sarcasmo delle presentazioni di Pittau.